giovedì 30 dicembre 2010

Dove acquistare STORIE INDUSTRIALI

Il libro si può acquistare presso la sede di QUATTRO, a Milano in viale Umbria 58, ingresso su via Ennio (meglio telefonare prima allo 02 45477609)
Oppure sempre a Milano presso le seguenti librerie: Il Libraccio, via Arconati 16; Fabio Libri, via Anfossi 5; Nuova Scaldapensieri, via Don Bosco/ang. Via Breno; Libreria di quartiere, viale Piceno 1; Centofiori, piazza Dateo 5; Hoepli, via Hoepli; Il Libraccio, via S. Tecla; Libreria del Corso San Gottardo, corso San Gottardo 35; Libreria Largo Mahler, via Conchetta 2; Cartoleria Montenero, via Bergamo 2; Libreria CLUP del Politecnico, via Ampère 20.
Si trova poi presso alcune edicole della zona 4: via Caroncini 1; piazza S. Maria del Suffragio; via Cadore 30; piazza Insubria.
Si può comprare anche via Internet, ci sono parecchi siti che lo vendono, oppure potete richiedercelo a quattro@fastwebnet.it

Se volete proporci altre librerie in cui tenere il libro, fatecelo sapere!

QUATTRO, l'editore del libro, pubblica anche dal 1997 un mensile, di cui potete trovare le ultime annate sul sito www.quattronet.it

giovedì 23 dicembre 2010

STORIE INDUSTRIALI, storie di ingegni e di luoghi del Novecento nel sud est di Milano


E’ uscito a novembre 2010 il libro STORIE INDUSTRIALI. Passato e presente nel sud est di Milano, pubblicato da QUATTRO Ed.  

 Si è concluso così  un lavoro durato più di due anni che ci ha visto raccogliere storie, testimonianze e immagini delle principali industrie che hanno operato nella nostra zona a partire dai primi anni del Novecento.
Alcune di queste “storie”  sono già state pubblicate sul mensile QUATTRO (www.quattronet.it), molte altre sono inedite, come originali sono tutte le sezioni denominate LUOGHI che sviluppano i temi urbanistici connessi alla presenza delle industrie all’interno della città, alla loro riconversione, o al loro abbattimento per nuove edificazioni o, in alcuni casi, al loro mantenimento.
A lavoro concluso, il libro è dunque in grado di fornire una ampia panoramica della vocazione industriale che questa parte di città ha avuto per i primi settanta anni del secolo scorso, vocazione che ha temporalmente seguito quella agricola, e che è convissuta e si è intrecciata con altre vocazioni significative della nostra zona: quella aeronautica, quella ferroviaria, quella annonaria.
Ci piace poi pensare che questo libro, rispetto ad altri sulla archeologia industriale, abbia una sua particolarità: il fatto che oltre alle storie di edifici e di spazi urbani, ci siano le storie di uomini e donne che dentro questi edifici hanno lavorato e vissuto, come semplici operai, o tecnici, o dirigenti, o proprietari.
Sono anche queste storie umane, specchio delle realtà economiche e sociali di ogni momento storico di una città, che consentono di andare oltre il pur importante valore degli edifici in sé per provare a comprendere l’essenza dei luoghi che compongono una città in rapporto ai cittadini che in un dato momento storico l’hanno vissuta.

Stefania Aleni
Vito Redaelli
Curatori del libro

 
STORIE INDUSTRIALI
Ed. QUATTRO

36 STORIE
12 autori
38 testimonianze
340 pagine
175 immagini
6 tavole a colori

Prezzo di copertina: 15 €


Gli autori:
Stefania Aleni, Vanda Aleni, Giuseppe Bastetti, Sergio Biagini, Tiziano Brambilla, Claudio De Biaggi, Vito Redaelli, Francesco Segoni, Pietro Solera, Riccardo Tammaro, Alberto Tavazzi.

Prefazione di Aldo Colonetti
Progetto grafico di Simone Paloni


LE STORIE:

CAPPELLI-FERRANIA
CAPRONI
CINEMECCANICA
COEN
ARTI GRAFICHE DECEMBRIO E COLOMBI
ELCHIM
FRUCTAMINE
GELOSO
LAGOMARSINO
LESA
MASSONI & MORONI
MOTOMECCANICA
PLASMON
REDAELLI
RICORDI
TENSI
T.I.B.B.
VETRERIA MILANESE LUCCHINI PEREGO

ALTRE STORIE

CELESTRI
FRATELLI CELLA
DUCHESSA
GALBANI
LE INDUSTRIE AERONAUTICHE TRA TALIEDO E MORSENCHIO
LAMPRON - CUCIRINI
MIVAR
MONTEDISON E LE INDUSTRIE CHIMICHE DI MORSENCHIO
MONTI E MARTINI
MOTTA
PIROLA
POLLI
SAFA
INDUSTRIA ANONIMA SALUMI E FORMAGGI
SAN GIORGIO
TRAFILERIE LAMINATOI DI METALLI - TLM
VANZETTI
LA VOCE DEL PADRONE

Storie industriali, presentato in Palazzina Liberty


Non solo la presentazione di un libro, ma una occasione per parlare e discutere della storia della nostra zona, del suo DNA, per capire dove deve andare questo importante pezzo di città (e questa città), quali vocazioni  vuole mantenere, o non deve abbandonare.
E il libro STORIE INDUSTRIALI che abbiamo presentato sabato 27 novembre in Palazzina Liberty si è prestato perfettamente a questa discussione, perché la storia del Novecento, almeno fino agli anni Settanta, è stata storia industriale, e nella nostra zona di quella storia sono rimasti luoghi (molti ancora gli edifici ex industriali che ospitano tuttora attività produttive o di terziario) e persone (i nostri testimoni, che quelle storie ci hanno raccontato permettendoci di farle conoscere).
Come in altre occasioni, pensiamo di fare cosa utile sintetizzando per QUATTRO  gli interventi degli oratori: Stefania Aleni e  Vito Redaelli, i curatori del libro; Manfredi Palmeri, presidente del Consiglio comunale; Alberto Meregalli, presidente Zona Milano Città Assolombarda; Paolo Zanichelli, presidente del Consiglio di Zona 4.

STEFANIA ALENI

Vi racconto brevemente come è nato questo libro, a cui stiamo lavorando da più di due anni: la prima volta siamo stati contattati dal figlio di un ex dipendente Lesa che ci ha proposto di parlare di quella grande fabbrica che era stata la Lesa di via Bergamo; abbiamo intervistato così il signor Magnaghi, vera memoria storica della Lesa.  Da lì, per affinità di prodotti,  siamo passati alla Geloso, trovando altri due testimoni, e poi a cascata, chiedendo a residenti di lunga data della zona, facendo ricerche su Internet, mettendo “avvisi” su QUATTRO; molti testimoni ci hanno contattato spontaneamente; il nostro redattore Sergio Biagini si è “scatenato” alla ricerca di aziende e fabbriche e a un certo punto ho dovuto “frenarlo” altrimenti avremmo pubblicato non un libro ma una enciclopedia.  Avendo così raccolto molto materiale e visto il positivo riscontro dei lettori agli articoli che man mano abbiamo pubblicato, ci è venuta l’idea di raccogliere queste storie in un libro.  Il libro che ne è nato è però molto di più di una raccolta di articoli, perché dei 36 casi esaminati la metà presenta anche un approfondito inquadramento dell’edificio industriale all’interno dell’isolato e del paesaggio urbano così come si è evoluto nel giro di quasi un secolo.
Ma ci tengo a dire che non abbiamo voluto fare una operazione nostalgica, ma vogliamo studiare e far conoscere il nostro passato per guardare agli sviluppi futuri della società e dell’economia della nostra città.

MANFREDI PALMERI

 
Oggi ci ritroviamo a parlare di storie industriali, perché non vogliamo cancellare un pezzo della nostra storia.
Dobbiamo conoscere quale è il DNA di una città, un pezzo di anima della città quale elemento immateriale o pezzi di elementi materiali: va mantenuto e non cancellato. Così come noi oggi non siamo come ieri, anche la città si trasforma, si modifica, ma non deve andare a toccare gli elementi essenziali. Occorre fare uno sforzo di immaginazione da parte anche degli urbanisti e degli architetti per mantenere e far convivere parti della nostra storia con nuovi insediamenti: una operazione culturale prima ancora che urbanistica e architettonica.
Questo libro è uno strumento che ci consente di essere tutti cittadini responsabilizzati verso il passato, è una occasione di conoscere il nostro passato.  Sono sicuro che quello che è scritto qui è conosciuto in percentuali più o meno basse dalle persone della zona,  gli stessi autori prima non conoscevano le storie che ci hanno poi raccontato. E’ come una macchina del tempo verso il passato che ci fa leggere e vedere delle cose e delle persone. La cosa che ho particolarmente apprezzato è che non si parla solo di edifici, ma anche delle persone,  non solo le scatole ma anche i contenuti, che sono le persone con le loro storie con la s minuscola,  singole persone che hanno reso grande la città e il territorio.
Una macchina del tempo verso il passato, ma anche verso il futuro.  Prima di operare una scelta in un territorio bisogna sapere che cosa c’era. Non per cancellarlo ma per trasformarlo in modo consapevole, possibilmente senza cancellazione. Questo libro quindi è una occasione straordinaria di approfondimento: conoscere il DNA di Milano per trasmettere ai figli quello che ci hanno lasciato i padri.
Oggi  è bello che si parli di archeologia industriale, la vera archeologia non parla solo di tutela e conservazione delle scatole, ma si occupa anche dell’esame approfondito della vita vissuta nelle realtà industriali, non la conservazione della scatola ma capire che cosa è avvenuto in quella scatola. Pensate che la prima volta che c’è stata una valorizzazione di una memoria industriale è stato a Londra nel 1851 in occasione dell’Expo: a meno di cento anni dall’inizio dei primi insediamenti industriali si sentiva l’esigenza di una tutela e di una valorizzazione di quelle realtà industriali. Voglio parlare infine un minuto della Ricordi, fondata nel 1808 in età napoleonica, anno straordinario perché fu fondata anche la Borsa di Milano ed il Conservatorio, e poi presente in zona 4 per 50 anni: la Ricordi produceva cultura, e lo voglio ricordare perché in un periodo in cui la cultura in Italia è vilipesa, dobbiamo capire che la cultura non è soltanto un asset strategico per lo sviluppo;  se non è in Italia che la cultura può favorire anche uno sviluppo economico, in quale altro paese questo può avvenire? La cultura è qualcosa di assolutamente necessario in termini civili, la cultura si mangia anche,  favorisce sviluppo, turismo, valorizzazione dei luoghi, e parlo anche della cultura che ci è arrivata dal cielo, cioè la natura.
E con questo voglio concludere il mio intervento, con un augurio affinché in ogni luogo ci sia la cultura vissuta e respirata e anche questo, grazie a voi che ascoltate e a chi parla, è un luogo di cultura, quindi utile alla società.

VITO REDAELLI

Mi piacerebbe raccogliere la suggestione della macchina del tempo che ha suggerito Palmeri.
Comincerei dal 900:  sappiamo che ogni città in un momento storico sviluppa delle attività particolari, e nel 900 la storia di Milano per la maggior parte è la storia delle sue industrie. Diciamo che in quel momento, ai primi del 900, cominciava una convergenza tra il processo della rivoluzione industriale e il processo di rivoluzione sociale e urbana. In quegli anni ci sono personaggi come John Geloso che va in America, torna indietro  e inventa oggetti che non esistevano in quel momento: questo è sviluppo industriale ma anche culturale in senso ampio. Questa sinergia, questo connubio straordinario accade a Milano e cambia la città. Fino agli anni 70 si costruiscono imprenditori geniali e lavoratori che diventano cittadini milanesi. Si costruiscono pezzi di città e quando c’è sinergia tra sviluppo industriale e culturale si creano le condizioni per i disegni urbani della città; pensiamo al TIBB di piazzale Lodi: nel 1912 si sposta la fabbrica e la nuova viene localizzata in quell’area; la proprietà compra l’area e sviluppa un pezzo di città ancora oggi straordinario.
In quegli anni si sono costruite anche le vocazioni della città, il suo DNA, come detto da Palmeri.
Questa è la prima tappa della macchina del tempo che volevo ricordare introducendo questo libro.
I 36 casi che esaminiamo dimostrano come questo paesaggio, che non è solo fisico ma è paesaggio di attività umane, si sia costruito rimanendo ancora oggi percepibile nel DNA della città.

Passando alla seconda fase di questa macchina del tempo, il secondo aspetto da rimarcare è che negli anni 70, quando si rompe questo “giochino”,  accade una cosa fondamentale, cioè la città e la società che vive in quel momento nella città ha bisogno di altre cose, per una serie di motivi, macro economici e sociali.  Queste nuove necessità che la società esprime creano di conseguenza la questione di come conservare quei valori, parte di quel DNA, della matrice storica della città, introducendo però funzioni che servono alla nuova città in quel momento.
Il segreto sta nel conservare e nell’innovare: se conservo solamente la città diventa un museo, se innovo perdo il DNA, la storia; occorre trovare le strade per un equilibrio complesso.
Di questi 36 casi il 37%, 13 casi, hanno subito una riconversione parziale,  conservando le strutture originali. Pensiamo al TIBB, il cui palazzo degli uffici è oggi occupato da una compagnia assicurativa, che dal punto di vista architettonico è diventato un edificio contemporaneo. Pensiamo alla Lesa che si è riconvertita al fenomeno della moda. E questa è una cosa interessante, molti imprenditori della moda hanno riconosciuto il valore architettonico ed anche posizionale di alcuni edifici storici della nostra zona, e quindi ne hanno riconosciuto anche un interesse economico.
Degli altri casi esaminati, il 25% ha visto una sostituzione totale dei manufatti industriali, che può essere lecito, perché  non sempre si tratta di strutture da conservare. Il 13% è stato oggetto di nuovi progetti, dal 1995 ad oggi, con un mix funzionale e 11% è ancora in funzione, perché sono aziende che hanno trovato una nicchia produttiva per essere competitive nel mondo, retaggio di quella genialità imprenditoriale alla John Geloso. Infine il 9% (3 casi) sono fabbriche dismesse da trasformare e riconvertire.
Ultima tappa della macchina del tempo: il futuro.  La terza motivazione che ci ha fatto guardare alle vocazioni del 900 era cercare di capire quali sono le vocazioni del XXI secolo.
Se nel passato si viveva in un certo modo vediamo di capire che cosa ci riserva il futuro. Nella zona 4 ci sono almeno tre aree importanti da riconvertire e poi grandi insediamenti come l’ortomercato; anche questo ambito può essere riconvertito e deve esser fatto in una logica che non solo è capace di leggere i DNA del passato, ma deve introdurre delle vocazioni per il futuro. Ecco, questa è una sfida fondamentale: ci deve essere questa idea di città che deve essere introdotta dalla politica ma anche dalla società, dagli imprenditori, di nuovo, che si inventino non necessariamente delle fabbriche tradizionali ma una nuova funzione, una nuova attività produttiva o culturale che possa rendere Milano competitiva nel mondo.
Chiudo dicendo che senza questa visione, senza questa interrogazione su quali possono essere le vocazioni di Milano, né uno strumento come il PGT e neppure forse la Expo bastano per costruire il futuro di una città. Per cui il nodo che mi piacerebbe discutere con voi questa sera è proprio questo.


ALBERTO MEREGALLI

Vorrei anzitutto fare i miei complimenti ai curatori e agli autori di “Storie industriali” per la piacevolezza, la ricchezza e il valore di questa pubblicazione; è un libro davvero gradevole da leggere, che riesce a coniugare il rigore della ricostruzione storica e dell’analisi urbanistica con obiettivi importanti di divulgazione.
Ho trovato davvero molto interessante e riuscito l’intreccio tra storie di vita e storie di luoghi, tra testimonianze dirette e raccolta di documentazione su cui si basa il lavoro. In questo modo il libro rende “viva” la storia industriale della zona e avvicina a noi la memoria e l’esperienza dei protagonisti di questa storia (lavoratori, tecnici, dirigenti, imprenditori…)
Come imprenditore e rappresentante di una associazione industriale non posso che essere felice del fatto che il passato produttivo della nostra città venga raccontato e tramandato in modo così efficace. La promozione della storia e della cultura industriale sono un terreno su cui peraltro siamo molto impegnati anche direttamente.
Ma, al di là della rievocazione del passato, dal mio punto di vista, le suggestioni che offre questo lavoro riguardano pienamente il presente, e sono riconducibili a due temi principali.
Il primo è il tema del ruolo della produzione industriale nell’economia milanese oggi.
Noi siamo convinti che anche un’economia così terziarizzata come è quella di Milano non possa dimenticarsi della produzione manifatturiera; l’Italia resta pur sempre il secondo paese al mondo (dopo la Germania) per produzione industriale pro-capite e la crisi ci ha insegnato che questo è un nostro punto di forza.
Se Milano è e vuole restare la capitale economica del Paese deve quindi saper conservare un rapporto con la produzione industriale. E questo non significa solo che Milano deve essere “la finestra sul mondo” della produzione industriale nazionale, ma anche che deve reinterpretare la vocazione produttiva del proprio territorio.
Ovviamente quando parlo di produzione a Milano oggi non intendo evocare la grande fabbrica del passato, ma alludo a un sistema di piccole e medie imprese altamente specializzate, che competono sui mercati globali perché incorporano nei loro prodotti un altissimo valore aggiunto di conoscenza, tecnologia, design.
Questo sistema di imprese a Milano e nell’area metropolitana milanese è ancora presente e vitale ed esprime una domanda di spazi e servizi rilevante, forse poco riconosciuta e governata. Da questo punto di vista sono molto istruttivi alcuni casi di riuso di luoghi industriali raccontati dal libro, casi di fabbriche che dopo la dismissione sono state “riabitate” da attività produttive di questo tipo.
E con questo vengo al secondo tema, al secondo motivo di interesse di questo libro per un’associazione come Assolombarda: il rapporto tra impresa e ambiente urbano.
Il libro - giustamente – intende per ambiente urbano sia quello costruito, sia quello sociale e ci mostra come ha funzionato questo rapporto in passato, facendoci vedere – ad esempio – come certi fabbricati industriali hanno contribuito a dare forma agli isolati e ai quartieri della zona; e ancora come certe produzioni hanno vissuto in simbiosi con la cultura del lavoro e del saper fare radicata in un luogo. Ma ci dà anche qualche spunto su come può continuare a funzionare virtuosamente questo rapporto oggi.
Noi imprenditori siamo abituati a chiedere alla città – e a chi la governa - soprattutto efficienza e funzionalità (delle reti per la mobilità di merci e personale, delle reti e dei servizi tecnologici in generale, degli spazi in cui organizzare la produzione, etc.). E questo –intendiamoci- rimane prioritario.
Ma siamo anche consapevoli che efficienza e funzionalità devono andare di pari passo con lo sviluppo di altri fattori di competitività dell’ambiente urbano (la sua qualità ambientale, la sua abitabilità e attrattività per i giovani, la ricchezza del suo ambiente culturale, etc.). A questo riguardo è molto interessante la definizione del termine “urbano” che il libro propone ad un certo punto: “quella qualità che ogni parte di città dovrebbe essere in grado di produrre generando usi, relazioni, coesione sociale e spazi pubblici e privati ricchi e articolati” (pag. 146).
Questa qualità è essenziale anche per la vita e la competitività delle imprese di cui vi parlavo prima,  perché la loro capacità di produrre valore aggiunto si alimenta anche da quel serbatoio di saperi, professionalità, capacità di ricerca, innovazione che è generato dalla città, dall’ambiente urbano nel suo insieme.
La tesi del libro è che una città genera più facilmente questa qualità se nei suoi spazi si svolgono attività miste e diverse. E’, in sintesi, una tesi a favore del cosiddetto mix urbano e per il superamento della pianificazione urbanistica basata sullo zoning, sulla separazione delle funzioni urbane. E su questo principio si basa anche il nuovo Piano di Governo del Territorio che l’Amministrazione Comunale sta portando all’approvazione in questi mesi.
E’ una tesi che in linea di principio condividiamo, per i motivi che ho appena illustrato. La sfida però è quella di governare la trasformazione e il riuso della città, affinché il mix urbano sia effettivamente tale, affinché tra le nuove attività e le nuove funzioni che andranno ad occupare le aree in via di trasformazione possano rilocalizzarsi anche le attività produttive. La sfida è quella di “fare spazio” a nuove storie industriali.


PAOLO ZANICHELLI

Volevo fare una piccola riflessione perché leggendo questo libro ho avuto la sensazione come l’aspetto urbanistico di una città, l’aspetto economico e quello sociale siano tra loro connessi e legati. La Milano che viene descritta in questo libro, la Milano industriale come è stato prima sottolineato, è una città in gran parte alle nostre spalle. Negli anni 70 è iniziato un processo di deindustrializzazione: sono anche cambiati gli elementi di questa città che prima si identificavano moltissimo in questa vocazione industriale, l’avvento del terziario negli ultimi trent’anni non ha secondo me completamente sopperito ai posti di lavori che creava l’industria.  Infatti negli anni in cui Milano era una città industriale, l’offerta di posti di lavoro era talmente alta che Milano era diventata attrattiva per tanti uomini e donne che sono venuti a Milano a lavorare e vivere.
Così decine di migliaia di uomini e donne hanno realizzato in questa città il loro progetto di vita, non solo sotto l’aspetto lavorativo quanto sotto l’aspetto sociale. Sono diventati milanesi. Ora la città ha perso abitanti e le aree ex industriali sono state trasformate parte in residenziali, parte in spazi pubblici, altre sono state destinate al terziario.
Io penso che abbiamo il dovere, come generazione di amministratori locali e rappresentanti delle associazioni imprenditoriali e del mondo del lavoro, di cercare di dare un direzione a questa città.
Io penso che con l’approvazione del PGT del prossimo 14 febbraio verrà definito lo sviluppo urbanistico di Milano per i prossimo decenni. Sarà il momento più dinamico in cui le forze politiche, sociali e culturali dovranno confrontarsi per capire quale direzione non solo urbanistica ma anche economica e sociale vogliamo dare a questa città.  In sintesi, se possiamo dire al futuro che bussa alla porta e alle generazioni future che Milano rimane una città nella quale realizzare i propri progetti  lavorativi, i propri progetti di vita. Concludo ringraziando Aleni e Redaelli che hanno curato questa opera e le persone che con la loro testimonianza l’hanno resa possibile.